Il Santuario e il ritorno all’Eden

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    :https://sguardoasion.com/2015/02/21/il-san...itorno-alleden/

    La descrizione del Tabernacolo (Mishkan), della sua costruzione, dei suoi arredi e dei riti che in esso si svolgevano, occupa nella Torah uno spazio davvero molto ampio. Dietro i dettagli minuziosi e i particolari apparentemente non essenziali, si nascondono significati arcani che poco hanno a che fare con i semplici aspetti artistici ed architettonici della struttura del Santuario. Fra questi significati, uno dei più noti nella tradizione ebraica è quello della correlazione tra il Mishkan e la Creazione del mondo, che ci rimanda al Libro della Genesi e che si coglie soprattutto attraverso parallelismi testuali.

    Al termine del racconto della Creazione si legge:
    “E Dio vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono. […] E il settimo giorno, Dio terminò l’opera (melakhah) che aveva fatto, e nel settimo giorno cessò da tutta l’opera che aveva fatto. E Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò” (Genesi 1:31 – 2:3).

    Il Libro dell’Esodo, per narrare la costruzione del Tabernacolo, riprende la stessa terminologia impiegata nella Genesi:
    “E Moshè vide tutta l’opera (melakhah); ed ecco, essi l’avevano eseguita come Hashem aveva ordinato: essi l’avevano compiuta così. E Moshè li benedisse“ (Esodo 39:43).

    In entrambi i brani l’opera compiuta è definita con il termine melakhah; essa viene esaminata dal suo autore (Dio, nel primo caso, Moshè nel secondo) e infine benedetta.

    Riferendosi a Betzalel, l’artista che diresse i lavori del Tabernacolo, Dio dichiara:
    “Io l’ho riempito dello Spirito di Dio, di sapienza (chochmah), di intelligenza (tebunah), di conoscenza (da’at) e di ogni abilità” (Esodo 31:3).
    I tre termini chochmah, tebunah e da’at, ricompaiono nello stesso ordine nel libro dei Proverbi (Mishlei 3:19-20), proprio in riferimento alla Creazione :
    “Con la sapienza Hashem fondò la terra e con l’intelligenza stabilì i cieli. Per la sua conoscenza gli abissi furono aperti”.

    Il legame tra la Creazione e il Tabernacolo è sottolineato in modo evidente nella tradizione rabbinica. Il Midrash Tanchuma, ad esempio, propone una corrispondenza tra ciascuno dei sei giorni creativi della Genesi e le diverse fasi dell’edificazione del Santuario. Da questo legame i Maestri derivano l’idea secondo cui il Tabernacolo rappresenta l’adempimento della missione dell’essere umano nell’universo. Come Dio decise di creare un mondo in cui l’uomo potesse abitare, allo stesso modo l’uomo ha il compito di costruire un luogo per far risiedere la Presenza del Creatore:
    “Rabbi Tarfon ha detto: Dio non pose la Sua Presenza su Israele finché [gli Israeliti] non si misero all’opera, come è scritto: ‘Essi mi facciano un Santuario, ed Io abiterò in mezzo a loro’ (Avot de-Rabbi Natan, 11).

    Alcuni elementi essenziali del Tabernacolo, tuttavia, sembrano rievocare un altro celebre racconto della Genesi: quello del Giardino dell’Eden, come si evince da alcuni interessanti parallelismi:

    Dopo l’espulsione dell’uomo dal Giardino dell’Eden, due Keruvim (Cherubini) furono posti a guardia dell’albero della vita (Genesi 3:24). L’Arca dell’Alleanza, situata nell’area più sacra del Tabernacolo, era sormontata da una copertura d’oro (Kapporet) su cui erano poste le immagini scolpite di due Keruvim (vedi Esodo 25:18-20).
    La Torah, in Genesi 2:15, ci narra che l’uomo fu posto nel Giardino dell’Eden “affinché lo lavorasse (le-ovdah) e lo custodisse (le-shomrah)”. Questi due verbi descrivono anche gli obblighi dei sacerdoti del Tabernacolo (vedi Numeri 3:8; 8:26; 18:4).
    Sia nell’Eden che nel Santuario, la manifestazione di Dio è descritta con il medesimo verbo: “Essi udirono il suono del Signore Dio che camminava (mitalekh) nel Giardino” (Genesi 3:8); “Io stabilirò la mia dimora in mezzo a voi e non vi rigetterò. Camminerò (hitalakhti) tra voi e sarò il vostro Dio” (Levitico 26:11-12).
    Nel Giardino, Dio veste Adamo ed Eva con delle tuniche (kutnot). Lo stesso compito è affidato a Moshè durante l’inaugurazione del Tabernacolo: “E per i figli di Aaron farai delle tuniche (kutnot)” (Esodo 28:40).
    Il profeta Yechezkel (Ezechiele) elabora ulteriormente questo parallelismo parlando di acque che sgorgheranno dal Santuario nell’epoca messianica, proprio come i fiumi che avevano la loro fonte nel Giardino dell’Eden secondo il racconto biblico. L’immagine profetica preannuncia la fioritura di un nuovo Eden rigoglioso nella Terra d’Israele:
    “Egli mi condusse nuovamente all’ingresso del Tempio, ed ecco delle acque uscivano da sotto la soglia del Tempio […]. Lungo il fiume, su entrambe le sue sponde, crescerà ogni specie di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno e il cui frutto non verrà mai meno“ (Ezechiele 47:1-12).

    Il fatto che l’Arca dell’Alleanza, con le Tavole dei Dieci Comandamenti e i due Cherubini, sia posta nel cuore del Tabernacolo, proprio nel punto focale del Santuario e della vita religiosa degli Israeliti, sta a significare che l’osservanza della Torah è ciò che permette all’uomo di elevarsi fino a raggiungere quella condizione spirituale rappresentata dall’antico Giardino.
    Ma se nell’Eden originario l’umanità era ancora priva della conoscenza del bene e del male, e le benedizioni non richiedevano alcuno sforzo, ora la situazione è radicalmente diversa. L’incontro tra Dio e le Sue creature può avvenire solo attraverso l’impegno umano, con l’edificazione del Tabernacolo e l’osservanza dei precetti:

    “Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; perciò oggi io ti comando di amare Hashem, il tuo Dio, di camminare nelle sue vie, di osservare i suoi comandamenti, i suoi statuti e i suoi decreti, affinché tu viva e ti moltiplichi” (Deuteronomio 30:15).
    Vita, morte, bene e male, quattro concetti chiave della vicenda di Adamo ed Eva, che riemergono tutti insieme nell’imperativo divino ad agire secondo la Torah. E nel caso in cui Israele fallisca ad adempiere tale imperativo, la pena preannunciata è identica a quella subita dalla prima coppia nell’Eden: l’esilio e la morte:
    “…Io vi dichiaro oggi che certamente perirete, che non prolungherete i vostri giorni nel paese, che state per entrare ad occupare, attraversando il Giordano” (Deut. 30:18).
    Dunque non è forse un caso che Geremia, piangendo la distruzione di Gerusalemme, si esprima in questi termini: “Egli ha devastato il Suo Tabernacolo come un giardino, ha distrutto il luogo dell’assemblea” (Lamentazioni 2:6); e che Isaia, annunciando la Redenzione futura, scelga di curare lo sconforto del popolo impiegando l’antica immagine del ritorno alla purezza originaria:
    “Hashem sta per consolare Sion, consolerà tutte le sue rovine, renderà il suo deserto come l’Eden e la sua solitudine come il giardino di Hashem. Gioia ed allegrezza si troveranno in lei, ringraziamento e suono di canti. Prestami attenzione, o popolo mio, ascoltami, o mia nazione, perché da me procederà la Legge e stabilirò il mio diritto come luce dei popoli” (Isaia 51:3-4).

    La Torah e i Profeti insegnano così che l’uomo non è stato bandito per sempre dal mondo idilliaco dell’Eden. Quel mondo, che è in fondo una condizione spirituale ideale, può rinascere grazie alla costruzione del Tabernacolo, e può essere raggiunto da coloro che mettono in pratica i precetti. La Torah, d’altronde, come afferma il libro dei Proverbi (3:18), “è un albero di vita per coloro che l’afferrano, e chi la possiede è beato”.
     
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