Cap. 4 - Il punto di vista

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    2,314

    Status
    Offline
    Il punto di vista




    Quando si narra una storia, è inevitabile operare delle scelte: ci si sofferma su alcuni aspetti della vicenda e se ne trascurano altri; si descrivono in modo approfondito alcuni personaggi e ci si limita a tratteggiarne altri; ci si dilunga su dettagli e si sorvola su aspetti apparentemente importanti.

    In un testo narrativo, queste scelte spettano all’ insindacabile giudizio del narratore, il quale è il testimone autorizzato di ciò che narra; come tutti i testimoni, però, egli adotta un determinato punto di vista. Di conseguenza, in forza del patto narrativo, il lettore sa che quanto legge è sempre presentato secondo la prospettiva del narratore, cioè il suo punto di vista, che può essere:
    - esterno, quando gli eventi sono descritti come se fossero visti “dall’alto”, cioè non filtrati dalle conoscenze e/o dalle sensibilità di alcun personaggio;

    - interno, quando gli eventi sono descritti come se il narratore guardasse le cose con gli occhi di uno o più personaggi e/o filtrasse i fatti attraverso la sensibilità di uno o più personaggi.
    Se quindi è sempre il narratore a “percepire” gli eventi, egli può però decidere di presentarli attraverso lo “sguardo” di qualcun altro.



    1. Voce narrativa e punto di vista

    Prima di entrare nel merito della questione, bisogna distinguere tra voce narrativa e punto di vista.
    Secondo Chatman,il punto di vista è il luogo fisico o l’orientamento ideologico o la situazione pratica -esistenziale rispetto a cui si pongono in relazione gli eventi narrativi. La voce, al contrario, si riferisce al discorso o agli altri mezzi espliciti tramite i quali eventi ed esistenti vengono comunicati al pubblico. Punto di vista non significa espressione, significa solo la prospettiva secondo cui è resa l’espressione. Prospettiva ed espressione non necessariamente sono collocate nella medesima persona.

    Facciamo un esempio. Nei due enunciati «Luigi passeggiava nel bosco» e «Marco vide che Luigi passeggiava nel bosco» la voce narrativa non cambia (può essere quella di un narratore esterno), ma il punto di vista sì: nel primo, il punto di vista è quello del narratore, mentre nel secondo è quello di Marco. Anche nei due enunciati «Luigi era persona di grande sensibilità» e «Marco era convinto che Luigi fosse una persona di grande sensibilità», la voce narrativa non cambia, ma nel primo la voce e il punto di vista (il giudizio su Luigi) coincidono (sono del narratore), mentre nel secondo la voce è del narratore e il punto di vista è di Marco (punto di vista che può essere diverso da quello del narratore, il quale può anche smentirlo, dicendo «Marco era convinto che Luigi fosse una persona di grande sensibilità, ma si sbagliava di grosso»).

    La voce narrativa, quindi, appartiene a colui che parla, mentre il punto di vista a colui che percepisce e giudica; ne consegue che tra questi due aspetti non vi è necessariamente coincidenza e che il punto di vista cambia più frequentemente di quanto cambi la voce narrativa: nell’enunciato «Marco era convinto che Luigi fosse una persona di grande sensibilità, mentre Giorgio lo riteneva un incapace, ma si sbagliavano di grosso perché Luigi aveva un carattere inafferrabile» la voce narrativa non cambia (narratore esterno), mentre il punto di vista è triplice (Marco / Giorgio / narratore).

    Edited by Maurizio 1 - 23/1/2019, 20:29
     
    .
  2.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    2,314

    Status
    Offline
    2. Terminologia e classificazioni

    Non v’è nel campo della narratologia aspetto come il punto di vista (definito anche «prospettiva», «visione sguardo», «focus della narrazione», «focalizzazione», «angolo percettivo») che abbia spinto i vari autori a proporre diverse opzioni classificatorie e terminologiche. In questa sede, ci limiteremo a riassumere le varie posizioni.

    Gérard Genette parla di punto di vista esterno (un personaggio secondario racconta la storia del protagonista), di punto di vista interno (il protagonista racconta la sua stessa storia), e di focalizzazione per indicare l’adozione di un determinato punto di vista (la domanda non è: Chi è il narratore?, ma: Qual è il personaggio il cui punto di vista orienta la narrazione?), distinguendo tra:

    a. focalizzazione interna: il narratore dice ciò che vede, pensa, prova un personaggio, e giudica in base al suo punto di vista morale e ideologico. Il suo grado di conoscenza coincide con quello dei personaggi (N = P): il narratore dischiude al lettore l’interiorità di un personaggio. La focalizzazione interna può essere:
    - fissa, quando il narratore adotta il punto di vista di un solo personaggio che rimane costante per tutto il racconto;
    - variabile, quando il narratore adotta il punto di vista di diversi personaggi;
    - multipla, quando vengono adottati punti di vista diversi per narrare lo stesso fatto (lo stesso fatto narrato da più personaggi).
    b. focalizzazione esterna: il narratore si limita ad osservare imparzialmente i fatti, a registrarli, senza esprimere giudizi morali o ideologici; i personaggi e i fatti sono visti dal di fuori. Il suo grado di conoscenza è inferiore a quello dei personaggi (N < P): il narratore racconta ciò che il lettore potrebbe già sapere.
    c. focalizzazione zero: il narratore è onnisciente e ubiquo; è in grado di anticipare o posticipare fatti (prolessi e analessi); è in grado di adottare il punto di vista proprio o interno a più personaggi; è in grado di indagare e svelare anche i pensieri più riposti dei personaggi. Di conseguenza, il suo grado di conoscenza è superiore a quello dei personaggi (N > P).

    Un narratore intradiegetico (omodiegetico o autodiegetico, cioè interno alla narrazione) può adottare solo la focalizzazione interna, mentre un narratore extradiegetico (esterno alla narrazione) può adottare sia la focalizzazione esterno sia quella interna. Il narratore extradiegetico può portare all’attenzione del lettore il punto di vista di uno o più personaggi agendo in due modi: o riportando il punto di vista di altri (es.: «Le case, viste attraverso il finestrino dell’aereo, apparivano a Marie come microscopici puntini colorati messi lì a macchiare il verde uniforme della campagna») oppure assumendo il punto di vista di altri (es.: «Le case lì sotto erano microscopici puntini colorati messi lì a macchiare il verde uniforme della campagna»).
    png
    Dal canto suo, Jean Pouillon stabilisce una triplice focalizzazione:
    1. la «visione alle spalle», tipica della narrativa fino al sec. XIX, presuppone un narratore onnisciente;
    2. la «visione con», in cui il narratore si pone allo stesso livello di conoscenza dei personaggi; può essere usata indifferentemente la prima o la terza persona;
    3. la «visione dal di fuori», tipica della narrazione naturalista e verista, in cui il narratore si limita a raccontare quello che vede.

    Meir Sternberg distingue invece il punto di vista del narratore, del personaggio, del lettore.
    Boris Uspensky individua quattro livelli del punto di vista:

    1. punto di vista fraseologico: la scelta di termini o locuzioni usati dal narratore e dai personaggi consente di cogliere il punto di vista de-gli uni e degli altri;
    2. punto di vista spaziale e temporale: il primo indica la “posizione” del narratore all’interno della narrazione, mentre il secondo indica il rapporto tra tempo del racconto e tempo della storia;

    3. punto di vista psicologico: esprime lo stato d’animo, i pensieri e i comportamenti dei vari personaggi di una storia;

    4. punto di vista ideologico: si occupa dei valori etico-morali e visione del mondo del narratore, visione che spesso si deduce dall’analisi degli altri punti di vista.

    I primi due rappresentano un punto di vista oggettivo, indicano cioè la posizione del narratore rispetto alla narrazione (interno, esterno, onnisciente); gli altri due rappresentano un punto di vista soggettivo, indicano cioè l’orizzonte ideologico del narratore.

    Edited by Maurizio 1 - 23/1/2019, 15:20
     
    .
  3.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    2,314

    Status
    Offline
    3. Il punto di vista della narrativa biblica

    Il fenomeno del punto di vista nella Bibbia opera fin dall’inizio del racconto (nel racconto dell’inizio) ed è strettamente legato all’onniscienza del narratore (cfr. cap. II.3.3.3). In Gn 1, il narratore ripete per sette volte (6+1) la formula:
    4 Dio vide (wayyarr’ ’elohîm) che la luce era buona.
    10 Dio vide che questo era buono (wayyarr’ ’elohîm kî-tôv).

    12 Dio vide che questo era buono (wayyarr’ ’elohîm kî-tôv).
    18 Dio vide che questo era buono (wayyarr’ ’elohîm kî-tôv).

    21 Dio vide che questo era buono (wayyarr’ ’elohîm kî-tôv).

    25 Dio vide che questo era buono (wayyarr’ ’elohîm kî-tôv).

    31 Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono (way-yarr’ ’elohîm ’et-kol ’ašer ’āsāh wehinnēh-tôv me’ōd).

    Riprendendo la distinzione tra voce narrativa e punto di vista, si osserva come la voce sia quella del narratore, mentre il punto di vista sia quello di Dio. Ma vi è una sorta di coincidenza tra «il punto di vista di Dio, che è trascendente nell’ordine della creazione, e quello del narratore, trascendente nell’ordine della narrazione». La cosa interessante è che il fenomeno del punto di vista innesca l’intreccio di Gn 2–3, tutto giocato sui diversi punti di vista relativi alla «bontà» della creazione. Non a caso il termine tôv, «buono», compare altre sette volte in Gn 2–3:

    9 Dio il Signore fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene (tôv) e del male.
    12 e l’oro di quel paese è buono (tôv)…

    17 ma dell’albero della conoscenza del bene (tôv) e del male non ne mangiare…

    18 Poi Dio il Signore disse: «Non è bene (tôv) che l’uomo sia solo…;

    5 ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene (tôv) e del male».

    6 La donna osservò che l’albero era buono (tôv) per nutrirsi, che era bello da vedere…
    22 Poi Dio il Signore disse: Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene (tôv) e del male.

    Quando la donna osserva che l’albero è tôv (3,6) sembra riflettere il punto di vista di Dio sulla creazione, ma anche «il punto di vista men-zognero che il serpente ha fatto luccicare su questo albero specifico. Il che dimostra che un punto di vista può nasconderne o rifletterne un (e anche più d’uno) altro. Fin dall’inizio dunque il dramma si svolge nella non-convergenza o nella non-conciliazione dei punti di vista: il «buono» che Gn 1 aveva introdotto in modo “assoluto” subisce ora un “disturbo” causato dall’interferenza di punti di vista assai relativi».

    3.1 Il gioco delle focalizzazioni

    Riportiamo ora alcuni brani per far risaltare l’utilizzo delle focalizzazioni.

    a). Genesi 13:

    png
    Lot vede con i suoi occhi (e la sua scelta risulterà sbagliata), mentre Abramo vede con gli occhi di Dio (e la sua scelta si rivelerà giusta). In questo caso il narratore, pur onnisciente, si cela dietro il punto di vista di Dio.


    b). Nel racconto di Gn 22, all’interno di una narrazione in cui domina la focalizzazione zero e un narratore onnisciente, viene assunto il punto di vista di Abramo proprio nei momenti decisi dell’intreccio: v. 4 («Al terzo giorno Abramo, alzando gli occhi, vide da lontano il luogo») e v. 13 («Allora Abramo alzò gli occhi e guardò; ed ecco: un ariete ardente, ghermito dal fuoco, impigliato con le corna in un cespuglio»).

    c). Esodo 3,1-6:
    jpg

    d). Un confronto tra due testi paralleli consente di apprezzare il particolare uso delle focalizzazioni (sottolineo le particolarità di Marco rispetto a Luca):
    png
    Così commentano Marguerat–Bourquin:

    Il paragone delle due versioni di questo racconto mostra a quale punto Marco giochi con maggiore abilità rispetto a Luca sul registro delle focalizzazioni. In Mc 5,26, che è un commento del narratore, abbiamo un racconto a focalizzazione-zero, di cui si trova l’equivalente in Luca al versetto

    43. Al contrario, il seguito del racconto di Luca va diritto allo scopo, in un solo versetto (v. 44). Marco s’attarda sulle motivazioni della donna (v. 27), trascrive una sorta di monologo interiore (v. 28), associa il lettore a ciò che avverte la donna dopo aver toccato il vestito di Gesù (v. 29). I versetti 27a,

    28 e 29b sono a focalizzazione interna; il lettore beneficia così di una straordinaria ricchezza di informazioni, che gli dà una posizione infinitamente superiore rispetto ai personaggi della storia raccontata, ivi compreso Gesù! Al versetto 30b, infatti, costui si mette a interrogare la folla; la sua ignoranza non sorprenderà il lettore, che si sa beneficiato di un sapere rifiutato a Gesù sul piano del racconto. Ora, questo stesso lettore ha del resto ricevuto al versetto 30a un’informazione che si trova a condividere solo con Gesù: «Subito, avvertita la potenza che era uscita da lui» (focalizzazione interna).

    Edited by Maurizio 1 - 23/1/2019, 18:03
     
    .
  4.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Administrator
    Posts
    2,314

    Status
    Offline
    3.2 Passaggi di prospettiva

    Analizziamo questi due racconti (Gn 18,1-15 e Gn 28,10-22):
    pngjpg

    Sono entrambi testi di teofania (ma cfr. anche Es 3,1-6), in cui il personaggio fa una scoperta importante. Il passaggio di prospettiva, dalla focalizzazione zero alla focalizzazione interna, è contrassegnato dall’espressione wehinnēh (ed ecco): si tratta insomma del passaggio dal landscape (lo spazio fisico dell’azione) al mindscape (l’interiorità e la percezione dei personaggio). Un sequenza di questo tipo fa in modo che l’esperienza divina sia filtrata dalla mediazione percettiva di Abramo e di Giacobbe, sebbene all’inizio essi non lo sappiano; di conseguenza, il lettore conosce Dio così come è mediato da Abramo e Giacobbe. Come fa notare J.-L. Ska, «se si perde di vista la “prospettiva” di una narrazione, si vede soltanto una superficie piatta, bidimensionale. Per scoprire il suo rilievo, è necessario scoprire l’“occhio della telecamera”, cioè la “focalizzazione” scelta dal narratore».
     
    .
3 replies since 22/1/2019, 21:59   99 views
  Share  
.