Cap. 1 - Questioni preliminari

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    1. Breve storia del metodo narrativo

    1.1 Dal New Criticism all’analisi narrativa

    Fino ai primi decenni del XX secolo, l’esegesi biblica presenta una solida impostazione storico-critica, finalizzata a indagare l’origine dei testi, la loro stratificazione redazionale, la loro evoluzione. Si parla quindi di storia della redazione (Redaktionsgeschichte), che considera gli autori come dei redattori che rielaborano e fissano tradizioni orali o scritte più antiche, di storia delle forme (Formsgeschichte), che studia la tradizione orale precedente alla messa per iscritto dei testi biblici, di storia della tradizione (Traditionsgeschichte), che studia il contenuto della trasmissione orale, e di storia della trasmissione (Überlieferungsgeschichte), che studia la modalità della trasmissione orale.
    A partire dalla metà del XX secolo, nei paesi anglosassoni si sviluppa il New Criticism, una scuola critica che, superando l’approccio storico, sociologico e psicologico, intende riportare l’opera letteraria alla sua autonomia di “manufatto”. La sua metodologia può essere così riassunta1:


    • più che uno strumento per ricostruire il passato e l’identità dell’autore, il testo deve essere considerato in sé, nella sua autonomia estetica;
    • di conseguenza, la forma, che è possibile analizzare in modo oggettivo e “scientifico”, prende il sopravvento rispetto al contenuto;
    • il testo esprime il suo significato autonomamente e non grazie a fattori esterni. Se è vero che l’analisi narrativa dipende in larga misura dal New Criticism, è altrettanto vero che diversi studiosi hanno espresso non pochi dubbi sulla totale oggettività dei testi, sul loro significato universale e sull’onnipotenza dell’autore. Il New Criticism viene integrato e, per certi versi, corretto dal Reader Response Criticism (analisi della risposta del lettore), una corrente critica che, sulla scia di W. Iser2, sottolinea come il significato dei testi dipenda dalla soggettività del lettore. Ne consegue che il significato di un testo, in quanto frutto dello scambio tra testo e lettore, varia da lettore a lettore. ———–

    Edited by Maurizio 1 - 3/9/2018, 19:39
     
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    1.2 L’analisi narrativa

    Ove si prescinda dalla metodologia midrashica, che potrebbe essere considerata il precedente più remoto dell’approccio narrativo, sono tre gli autori che hanno cominciato a far intravvedere la qualità letteraria del testo biblico, sottolineando la stretta connessione tra forma e contenuto: FRANZ ROSENZWEIG (1886–1929), MARTIN BUBER (1878–1965) e ERIK AUERBACH (1892-1957)
    . Un’altra opera a suo modo pionieristica
    e fondativa è quella di MEIR WEISS, che introduce il concetto di
    “interpretazione totale”
    , un approccio sincronico ai testi biblici teso a
    far risaltare il nesso tra forma e contenuto. Da notare come tutti gli autori
    citati sin qui siano ebrei, europei o israeliani, in qualche modo eredi
    della metodologia midrashica.
    È soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, in particolare
    in ambiente statunitense, che si infittiscono gli studi, a partire da
    due testi fondamentali quali quelli di ROBERT ALTER e MEIR STERNBERG7
    . L’elemento di novità è rappresentato dal fatto che non ci si limita
    più a considerare brevi sezioni di testo, ma si affrontano sezioni
    più ampie, interi cicli narrativi
    , interi libri
    , fino a veri e propri commenti che mettono in risalto i capisaldi dell’approccio narrativo, vale
    a dire l’idea che bisogna considerare il testo nella sua globalità e nella
    sua forma finale: esso presenta un’unità autoriale che va sviscerata anche
    quando (o soprattutto quando) presenta tensioni e contraddizioni.
    Di grande importanza anche la scuola francofona (ricordo in particolare:
    Jean-Louis Ska, Daniel Marguerat, André Wénin, Jean-Pierre
    Sonnet, Elisabeth Parmentier, Jean-Daniel Macchi, Yvan Bourquin)
    riunita intorno al Réseau de recherche en analyse narrative des textes
    bibliques (RRENAB), nato con l’intento di promuovere e coordinare la
    ricerca in analisi narrativa.

    1.3 I criteri di fondo dell’analisi narrativa

    Rimandando alla trattazione le varie fasi dell’analisi narrativa, possiamo
    fin d’ora individuare i tre assi portanti che reggono l’intero edificio:
    a) dal testo come fonte storica al testo in sé; b) il rapporto tra narrazione
    e ideologia; c. il ruolo del lettore.

    1.3.1 Il testo in sé

    È noto che la Bibbia presenta diverse versioni di uno stesso episodio
    (le cosiddette “scene-tipo”): l’annunciazione della nascita
    dell’eroe alla madre sterile; l’incontro al pozzo con il futuro fidanzato;
    il testamento dell’eroe morente; la prova di iniziazione; le scene di riconoscimento;
    il pericolo nel deserto. L’esegesi storica considera queste scene come «strutture ricorrenti in maniera uniforme di un modello
    o schema (pattern), anziché le molteplici variazioni del modello stesso
    che ogni sistema di convenzione letteraria inventa. Per di più la critica
    delle forme utilizza questi modelli a scopo archeologico – per sostenere
    ipotesi sulle funzioni sociali del testo, la sua evoluzione storica e via
    dicendo»
    Proprio analizzando una di queste scena-tipo, quella dell’incontro al
    pozzo, presente in Gen 24,10–61 (Abramo e Rebecca), in Gen 29,1–20
    (Giacobbe e Rachele) e in Es 2,15b–21 (Mosè e le sette sorelle di
    Reuel), R. Alter sottolinea come tutte queste ricorrenze siano il segno
    di una raffinata arte narrativa. Come sottolinea J.L. Ska, Alter «non
    cerca le tracce di clan seminomadi, di costumi popolari o di tradizioni
    vicine al folclore. Lo sfondo dei testi non è di natura storica, ma linguistica
    e letteraria. Esso è fatto di tutte le potenzialità della lingua. D’altra
    parte, l’analisi tende a privilegiare lo studio dei personaggi e dei loro
    caratteri». La conclusione di Alter è eloquente:
    La forza espressiva archetipa di questa scena-tipo nel suo insieme risulta
    con grande chiarezza. L’uscita dell’eroe dal cerchio familiare ristretto (...)
    per scoprire una compagna nel mondo esterno è raffigurata nel viaggio del
    giovane verso una terra straniera; o forse il paese straniero è soprattutto
    un correlativo geografico della semplice alterità femminile della futura
    moglie. Il pozzo come oasi è, ovviamente, il simbolo della fertilità e con
    ogni verosimiglianza anche un simbolo femminile. L’atto di attingere acqua
    dal pozzo è un gesto che stabilisce, emblematicamente, un legame –
    maschio-femmina, ospite-ospitante, benefattore-beneficiato – fra lo straniero
    e la ragazza, e il suo risultato adeguato è costituito dal correre eccitato
    a portare la notizia, dai gesti di ospitalità, e dalla celebrazione del fidanzamento.
    La trama della scena-tipo quindi rappresenta drammaticamente
    il congiungersi, nel matrimonio, di parti che non si conoscono a vicenda.
    Può darsi che la sua più antica origine sia da ricercarsi in tradizioni
    di folclore prebiblico, ma è questa un’ipotesi che resta di importanza periferica
    in ordine alla comprensione dell’uso letterario della scena. E, in
    ogni caso, ciò che interessa veramente – come in ogni arte originale – non
    è lo schema della convenzione, ma quanto si fa in ciascuna applicazione
    individuale dello schema, per dargli un taglio improvviso di innovazione,
    o perfino per riformularlo radicalmente in funzione degli obiettivi perseguiti
    dall’immaginazione dell’autore15.

    1.3.2 Narrazione e ideologia: il ruolo del narratore

    «Ideologia della narrazione e narrazione dell’ideologia» è il suggestivo
    titolo del III capitolo della fondamentale opera di Meir Sternberg
    The Poetics of Biblical Narrative. È merito di Sternberg aver svolto
    considerazioni assai istruttive sulla peculiarità del narratore biblico,
    specialmente laddove coglie la differenza profonda tra l’epica mesopotamica
    e omerica e quella biblica: mentre il narratore omerico «si trova
    al di sopra degli dèi, dando loro accesso al sapere dei vari statuti in funzione
    delle sue istanze», il narratore biblico dà prova di una onniscienza
    che è strettamente legata all’onniscienza divina. In effetti, nella
    narrazione biblica il personaggio di Dio è più onnisciente che onnipotente:
    si potrebbe dire che l’onniscienza del narratore sia un dono del
    Dio onnisciente.
    Ne risulta uno stretto collegamento tra tecnica narrativa e “rivoluzione
    monoteistica”, ben messo in risalto da R. Alter:
    Mai ci coglie il sospetto fondato che il narratore biblico ignori tutto ciò
    che c’è da sapere sulle motivazioni e sui sentimenti, sulla natura morale e
    sulla condizione spirituale dei suoi personaggi, anche se (…) è estremamente
    cauto quando si tratta di condividere questa sua onniscienza con i lettori. Se ci invitasse a partecipare in pieno alla sua conoscenza globale,
    alla maniera di un romanziere vittoriano col suo stile discorsivo, l’effetto
    sarebbe di aprirci gli occhi e di farci diventare “simili a Dio, conoscendo
    il bene e il male”. La sua decisione tipicamente monoteistica è destinata a
    condurci ad una conoscenza che è quella della carne e del sangue: il personaggio
    ci è rivelato anzitutto attraverso il discorso, l’azione, il gesto,
    con tutte le ambiguità che questi elementi comportano; la motivazione,
    anche se non sempre, è lasciata nell’ombra; sovente siamo in grado di
    trarre conclusioni plausibili sui personaggi e i loro destini, ma molto resta questione di congettura e persino di molteplici possibilità, tutte accattivanti19.

    1.3.3 Il ruolo del lettore

    Sulla scia della narratologia, l’esegesi biblica si è sintonizzata sul
    lettore20. Come sottolinea P. Ricœur, «il testo termina la sua corsa fuori
    da se stesso nell’atto della lettura», il testo «diventa il figlio adottivo
    della comunità dei lettori»21. Superando le frontiere dello strutturalismo,
    l’analisi narrativa intende evidenziare gli effetti di senso del testo
    sul lettore, o sulla comunità dei lettori. Passa quindi in secondo piano la
    struttura del testo e prende invece il sopravvento l’analisi delle strategie
    retoriche messe in atto dal narratore per produrre effetti di senso sul lettore.

    Una volta affermata la centralità del lettore, resta da chiedersi chi è
    il lettore, anche perché ci può essere il rischio che il lettore non sia altro
    che il prodotto dell’immaginazione del critico. D. Marguerat sintetizza
    il problema enucleando due posizioni:
    Prima posizione: si definisce “lettore” l’immagine del narratario come emerge dalla strategia narrativa: il narratore attribuisce al lettore una
    competenza (per esempio la conoscenza delle Scritture), presuppone da
    parte sua delle informazioni (per esempio sulla cultura ebraica e la geografia
    di Israele) oppure gli attribuisce una ignoranza che cerca di colmare:
    è quello che chiamerei il lettore codificato. Ma è anche possibile considerare
    il lettore che il narratore vuole costruire con il suo testo: si tratta
    allora dell’insieme, non delle sue competenze, ma degli effetti che il testo
    cerca di esercitare su di lui. È un lettore auspicato più che postulato, ideale
    più che registrato. Lo si può definire il lettore costruito.
    Su questa base, Marguerat distingue tra uditorio narrativo
    (l’insieme dei lettori codificati, con le loro competenze, la loro cultura,

    il loro sapere, la loro ignoranza) e uditorio autoriale (l’insieme dei lettori
    che il narratore vuole modificare, dispiegando a suo vantaggio il
    mondo del racconto).
    2. L’analisi narrativa biblica: finalità e metodo
    Come detto, l’analisi narrativa si basa sull’idea che ogni racconto
    mira a produrre nel lettore degli effetti di senso. Essa parte da due domande:
    a. con quali modalità il testo entra in comunicazione con il lettore?
    b. in che modo il testo è significativo per chi lo legge?

    Edited by Maurizio 1 - 3/9/2018, 19:01
     
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    2.1 Un approccio pragmatico

    A differenza del metodo storico-critico, l’analisi narrativa non si
    occupa della genesi del testo e della sua storia (prospettiva diacronica),
    ma del testo così come si presenta (prospettiva sincronica). Allo stesso
    modo, non cerca di risalire dal testo alla dimensione storica
    dell’autore reale e dei destinatari primi; non si muove quindi in una
    prospettiva “archeologica”. Inoltre, mentre il metodo storico-critico nega
    la coerenza dei testi biblici, ritenendoli l’esito di assemblaggi avvenuti
    nel tempo, e si limita a considerare i loro autori dei meri compilatori
    più o meno abili, l’analisi narrativa assume come un dato di fatto
    che i testi siano coerenti sul piano narrativo. La sua domanda è questa:
    «Che ruolo gioca l’arte letteraria nella formazione del racconto bibli
    co»
    Il suo intento è di analizzare la dinamica comunicativa che si istaura
    tra il testo e il lettore25, il quale non può che essere un lettore implicito.
    La diade testo-lettore (da intendere nella duplice direzione del lettore
    che legge il testo e del testo che “legge” il lettore) fa sì che l’analisi
    narrativa sia un approccio pragmatico.
    Più che al “cosa si narra” (cioè alla storia, story), l’analisi narrativa
    è interessata al “come si narra” (cioè al discorso, discourse). Ciò dipende
    dal fatto che una medesima storia può essere narrata in modo diverso
    a seconda degli effetti di senso che il narratore intende suscitare nel
    lettore.
    Tali effetti di senso sono il risultato di un consapevole montaggio
    narrativo o costruzione del discorso, che l’analisi narrativa è chiamata
    ad indagare. Come sottolinea D. Marguerat, le domande che l’analisi
    narrativa si pone sono le seguenti : «Su quali elementi lavora la lettura?
    Che strategia ha messo in atto il narratore per orientare la lettura? Quale
    dinamica si svolge tra il detto e il non-detto del testo? Con quali mezzi
    il narratore fa scattare l’adesione o la repulsione nei confronti dei personaggi?
    Come rende noto il suo sistema di valori? Cosa nasconde al
    lettore?».

    2.2 Il mondo del racconto

    Un testo narrativo presenta una serie di elementi costitutivi la cui
    analisi dettagliata (non necessariamente in quest’ordine) consente di
    entrare nel mondo del testo.

    2.2.1 La delimitazione del testo .

    È importante individuare le indicazioni di tempo e di spazio, la vicenda,
    i personaggi e i temi che permettono di delimitare un macro- o
    un micro-racconto (chiusura del testo, closure). Una volta delimitato il
    testo, bisogna cogliere la successione delle scene e la loro progressione
    narrativa (sequenza narrativa).

    2.2.2 La «voce» narrativa

    La voce narrativa è una finzione letteraria e indica colui che racconta,
    secondo una determinata strategia, i fatti. La sua presenza nel testo è
    soggetta a numerose possibilità: può essere dotato di una sua identità o
    essere anonimo; può narrare in prima o in terza persona, essere parte o
    meno della vicenda narrata, essere onnisciente oppure no, affidabile o
    reticente. Nel corso dell’analisi, bisogna chiedersi “chi” parla e “come”
    parla.
    Nel caso della narrazione biblica, il narratore è quasi sempre anonimo
    e onnisciente (sa tutto della storia che narra e conosce i pensieri
    più riposti dei personaggi, anche di Dio); spesso, però, non abusa della
    sua onniscienza, anzi mantiene un certo riserbo, limitandosi a fornire al
    lettore gli elementi essenziali per comprendere il racconto. Nella maggior
    parte dei casi, è un narratore affidabile rispetto alla sua narrazione.

    2.2.3 L’intreccio

    A differenza della fabula, cioè l’ordine logico-cronologico dei fatti,
    l’intreccio costituisce la struttura narrativa prescelta dall’autore per redigere
    il testo. In sede di analisi occorre anzitutto individuare le cinque
    tappe principali in cui si articola l’intreccio:
    1.la situazione iniziale o esposizione;
    2.l’azione complicante che determina l’annodamento ovvero
    l’inizio del conflitto che sta alla base della tensione narrativa;
    3.l’azione trasformatrice , cioè il punto di svolta che fa passare dalla
    situazione iniziale a quella finale;
    4.lo scioglimento, cioè la fine della tensione narrativa e la ricomposizione
    / trasformazione della situazione iniziale;
    5.la situazione finale o epilogo.
    È evidente che queste tappe non si presentano in modo meccanico;
    occorre pertanto indagare lo spazio assegnato ad ognuna di esse, i legami
    che si stabiliscono, le corrispondenze e le differenze.
    Altro elemento importante ai fini dell’analisi è l’individuazione delle
    diverse tipologie di intreccio. In un intreccio di risoluzione, per esempio,
    l’azione trasformatrice risolve una situazione problematica (una malattia, una morte, una catastrofe naturale, ecc.), mentre in un intreccio
    di rivelazione, l’azione trasformatrice mira a rivelare l’identità
    di un personaggio. Un racconto può giocare su questi due tipi di intreccio.

    Da ultimo, bisogna tener presente che l’esposizione o l’epilogo possono
    essere assenti, soprattutto se il racconto costituisce un episodio di
    una sequenza più ampia; in questo caso, ciò che precede presenta determinati
    personaggi, tempi e luoghi, mentre ciò che segue mostra i
    prolungamenti.

    2.2.4 I personaggi

    Questa parte dell’analisi risulta particolarmente delicata e complessa,
    anche in relazione alla tipologia del racconto. Il “personaggio” è una
    figura, non necessariamente umana, che svolge un determinato ruolo
    all’interno del racconto; in quanto tale, può essere individuale o collettivo.

    Sarà quindi bene anzitutto tracciare una mappa delle funzioni semantiche
    svolte dai personaggi, sulla base del modello attanziale : il
    soggetto, l’oggetto, l’aiutante e l’oppositore.
    In relazione al ruolo, bisogna individuare la figura
    del protagonista
    (svolge un ruolo centrale nello sviluppo dell’intreccio), della spalla (è il
    contraltare del protagonista), del figurante (svolge un ruolo passivo nello
    sviluppo dell’intreccio), della comparsa.
    In relazione alla tipologia, ci si deve chiedere quali sia la loro caratterizzazione
    psicologica: vi sono infatti personaggi a tutto tondo (dotati
    di una pluralità di tratti psicologici e descritti con una forte consistenza
    narrativa) e personaggi piatti (dotati di pochi tratti psicologici e descritti
    con poca consistenza narrativa), personaggi dinamici (presentano una
    evoluzione psicologica nel corso del racconto) e personaggi statici (non
    presentano evoluzione psicologica).
    Un altro aspetto importante nell’analisi dei personaggi è la loro costruzione
    da parte del narratore. Si tenga presente infatti che il personaggio
    è creato a insindacabile discrezione del narratore: è costui a farsi
    garante del suo grado di affidabilità (o inaffidabilità), della sua consistenza
    psicologica, delle sue mancanze. Di conseguenza, indagare le
    modalità attraverso le quali il narratore costruisce i personaggi è di capitale
    importanza per far risaltare gli effetti di senso prodotti sul lettore.
    È di tutta evidenza che gli effetti di senso saranno diversi a seconda che
    il narratore susciti nel lettore dei sentimenti di comunione, di identificazione
    o di antipatia per i personaggi.
    Il narratore può presentare i personaggi secondo due modalità: o attraverso
    un modo narrativo (telling), cioè fornendo elementi di informazione
    e di descrizione, esprimendo giudizi morali, esplicitando motivazioni,
    sentimenti e intenzioni, oppure attraverso un modo scenico
    (showing), cioè limitandosi a narrare le azioni, le parole e/o i pensieri
    dei personaggi.
    Tra le modalità di rappresentazione dei personaggi di cui può disporre
    il narratore, particolare importanza assume la focalizzazione,
    termine che viene mutuato dal cinema: i diversi gradi di “messa a fuoco”
    producono un diverso grado di distanza tra il lettore e la narrazione.
    Con la focalizzazione zero (panoramica), il narratore esce dalla cornice
    della materia narrata e offre al lettore una serie di informazioni sui personaggi
    che il lettore non può conoscere. Con la focalizzazione esterna
    (piano fisso) il narratore inserisce il lettore nella cornice del racconto
    conducendolo a vedere e a sapere ciò che vedono e sanno i personaggi.
    Con la focalizzazione interna (primo piano) il narratore porta il lettore a
    conoscere l’interiorità del personaggio.

    2.2.5 Il tempo

    Dal momento che il racconto è una successione cronologica di eventi,
    la dimensione del tempo è una componente essenziale. Partendo
    dalla distinzione tra tempo della storia, cioè l’effettiva durata dei fatti
    narrati, e tempo del racconto, cioè il tempo impiegato dal narratore, bisognerà
    anzitutto chiedersi quale sia l’ordine cronologico dei fatti, se
    cioè vi siano anticipazioni (prolessi) o retrospezioni (analessi); anticipare
    e posticipare un fatto, rispetto all’ordine cronologico, è scelta dettata
    dalla strategia narrativa, quindi elemento decisivo per la partecipazione
    del lettore.
    Vi è poi da tener presente la durata, cioè la velocità e il ritmo del
    racconto, determinata dal rapporto tra tempo della storia e tempo del
    racconto. Bisognerà quindi individuare i fenomeni di accelerazione,
    quando cioè un fatto è narrato in poche righe (sommario) o in poche parole
    (ellissi), pagine di equilibrio, quando c’è sostanziale coincidenza
    tra tempo del racconto e tempo della storia (scena), e di rallentamento,
    quando la vicenda avanza lentamente (analisi) o è del tutto ferma (pausa).

    Un altro aspetto importante della gestione del tempo da parte del
    narratore è la frequenza, che può far vita a un racconto singolativo,
    quando si racconta una volta ciò che è avvenuto una volta, ripetitivo,
    quando si racconta più volte ciò che è avvenuto una sola volta, iterativo,
    quando si racconta una sola volta ciò che è avvenuto più volte.

    2.2.6 Il patto narrativo

    Come s’è detto, l’analisi narrativa sottolinea con forza l’effetto che
    il mondo del racconto esercita sul mondo del lettore. Tra l’autore implicito,
    con le sue strategie narrative, e il lettore implicito, con le sue
    aspettative, si sviluppa una sorta di collaborazione, basata sul patto narrativo.
    Nell’analisi di un testo narrativo si dovranno dunque individuare
    le “clausole” del patto, vale a dire le scelte operate dall’autore implicito
    per chiamare in causa il lettore implicito.
    Esse possono essere cosi riassunte: l’uso di un determinato genere
    letterario, la soppressione di determinati fatti, la volontà di spiazzare o
    confortare il lettore, la volontà di innescare nel lettore un processo di
    identificazione o di repulsione, la volontà di coinvolgere il lettore nel
    processo di interpretazione del testo.

    Edited by Maurizio 1 - 3/9/2018, 18:28
     
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    3. La narrativa biblica come fiction

    Si può studiare il racconto biblico facendo ricorso alle categorie valutative
    e interpretative tipiche della fiction (narrativa di invenzione)? È
    lecito considerare il testo biblico alla stregua di un romanzo? Non c’è il
    rischio di una diminutio che lascia sullo sfondo, se non addirittura cancella,
    la dimensione teologica del testo? E, infine, è possibile sostenere
    che la risposta del lettore biblico sia analoga a quella di un lettore di
    fiction? Queste le obiezioni che vengono rivolte all’analisi narrativa e
    che necessitano di una risposta.

    3.1 Tra storia sacra e narrativa di invenzione

    Normalmente si afferma che la Bibbia racconta una storia sacra.
    Tuttavia, tranne che negli approcci letteralisti, nessuno pensa più che
    quanto narrato nella Bibbia sia storicamente avvenuto. Si tratta dunque
    del racconto oggettivo di fatti realmente accaduti (history) oppure di
    una narrazione (story), nel senso della presenza di «un agente (poco
    importa che sia umano o meno), uno stato iniziale, una serie di mutamenti
    orientati nel tempo, e prodotti da cause (che non è necessario
    specificare a ogni costo) fino a un risultato finale (sia esso transitorio o
    interlocutorio)»28? Quella biblica è la narrazione di un mito o di una
    storia?
    Sulla base di Herbert Schneidau29, R. Alter definisce la narrazione
    biblica in termini di «narrativa di finzione storicizzata» e di «storia romanzata»30.
    Secondo lui,
    questi racconti non sono, a rigor di termini, storiografia, ma piuttosto rifacimento
    immaginativo della storia ad opera di uno scrittore di talento che
    organizza i suoi materiali lungo la linea di determinate tendenze, propensioni,
    tematiche, e secondo una notevole dose di intuizione della psicologia
    dei personaggi. Egli si sente totalmente libero, non si dimentichi, di inventare
    per i suoi personaggi monologhi interiori; di attribuire loro sentimenti,
    intenzioni, o motivazioni, quando li sceglie; di fornire dialoghi ‘riprodotti’
    parola per parola (è uno dei maestri della letteratura in questo campo) per
    determinate occasioni nelle quali nessuno, fuorché gli attori stessi, avrebbero
    potuto conoscere esattamente quanto si disse. Nei confronti della storia
    israelitica l’autore delle storie di Davide ha, fondamentalmente, il medesimo
    rapporto che caratterizza Shakespeare nei suoi drammi storici nei
    confronti della storia inglese. Shakespeare, naturalmente, non era libero di
    far perdere ad Enrico V la battaglia di Agincourt, o di permettere a qualcun
    altro di guidare le armate inglesi in quell’occasione, ma, operando a partire
    dai suggerimenti della tradizione storica, poté inventare una specie di
    Bildungsroman, di romanzo educativo, per il giovane principe Hal; poté
    circondare questo principe di personaggi inventati, destinati a servire da
    contrasto, da specchio, da ostacolo, o da aiuto nella sua crescita; poté creare
    un linguaggio ed una psicologia per il re che costituiscono creazioni
    proprie dello scrittore, e trasformare il materiale fornitogli dalla storia in
    una grandiosa proiezione della umana possibilità. È, essenzialmente, quanto
    fa l’autore del ciclo di Davide per Davide stesso, per Saul, Abner, Joab,
    Gionata, Assalonne, Mical, Abigail e per tutta una serie di altri personaggi

    M. Sternberg presenta invece una posizione più critica: dopo aver
    affermato che «lo scritto storiografico non è un resoconto dei fatti – di
    ciò che è “realmente avvenuto” – ma un discorso che rivendica il suo
    essere un resoconto dei fatti» e che «lo scritto di invenzione non è un
    intreccio di libere invenzioni ma un discorso che rivendica la libertà di
    invenzione»32, alla domanda se la Bibbia appartenga al genere storico o
    al genere romanzesco («does the Bible belong to the historical or the
    fictional genre?»), risponde: «Il racconto è sicuramente storiografico, lo
    è indubbiamente a motivo della sua teleologia, e lo è a maggior ragione
    se consideriamo il suo periodo storico e il suo ambiente»33. Come potrebbe
    essere diversamente visto che il popolo ebraico è definito da un
    passato di cui bisogna continuamente fare memoria? Già Auerbach faceva
    notare che
    si possono elevare innumerevoli obiezioni storico-critiche contro la guerra
    di Troia e contro i viaggi di Ulisse, e tuttavia essi producono sul lettore
    l’effetto voluto da Omero, ma chi non crede al sacrificio d’Abramo non
    può fare del racconto l’uso per cui fu scritto. Anzi, occorre andare oltre.
    La pretesa di verità della Bibbia non soltanto è più urgente che in Omero,
    ma è tirannica, esclude ogni altra pretesa. Il mondo delle storie della Sa-
    cra Scrittura non s’accontenta di voler essere la vera realtà storica, ma afferma
    d’essere l’unica vera.
    La conclusione di Sternberg è che
    se il racconto fosse scritto o letto come una narrativa di invenzione, allora
    Dio passerebbe dalla condizione di signore della storia a quella di un prodotto
    di immaginazione, con esiti disastrosi. (…) Da qui la determinazione
    della Bibbia a santificare e rendere obbligatoria la credenza letterale
    nel passato (literal belief in the past). La Bibbia non rivendica soltanto lo
    statuto di storia, ma, come sostiene a ragione Erich Auerbach, pretende di
    raccontare la storia – la sola e unica verità che, come Dio stesso, non tollera
    rivali […]. Supponiamo che il racconto della creazione faccia nascere
    nel suo pubblico la reazione “Ma i Babilonesi raccontano una storia diversa”
    o che il ciclo dell’Esodo susciti la protesta “Ma gli Egizi negano tutta
    la faccenda!”. Forse che il narratore biblico alzerebbe le spalle, come farebbe
    ogni romanziere che si rispetti? Pensare così sarebbe una follia, intendo
    follia interpretativa, tanto teleologica quanto teologica.
    Per dirla con H. Meschonnic, «la specificità retorica dei testi biblici
    è di essere parabola in quanto sono una Storia, sono una retorica in
    quanto sono una Storia»

    3.2 Il racconto biblico tra teologia e verità

    Come si diceva sopra, la Bibbia non è solo storia, ma soprattutto
    storia sacra. L’aggettivo insiste sulla dimensione teologica del testo.
    Un approccio narrativo non rischia di mettere in secondo piano
    l’essenza stessa della Bibbia, riducendola a puro racconto?
    Non c’è parola che crea, senza racconto della creazione; non c’è
    Logos che si incarna, senza il racconto dell’incarnazione. In fondo, la
    Bibbia non è un trattato teologico-dogmatico, ma il racconto di
    un’esperienza di fede. E lungi dall’essere personaggi ideali e stereotipati,
    i personaggi biblici sono essere umani in continua evoluzione, con i
    loro alti e bassi (spesso più bassi che alti). Se dunque la narrazione è la
    modalità prevalente, ciò dipende dal fatto che il racconto è modalità
    pedagogica per eccellenza: la dimensione narrativa non è qualcosa di
    accessorio, ma è categoria fondamentale dell’esistenza umana, tanto
    che si può parlare di una pedagogia narrativa. Sottolinea giustamente E.
    Parmentier: «Il racconto non è soltanto una storia con un messaggio. La
    storia è il messaggio: narrandolo, lo fa accadere. Facendo finta di raccontare
    la storia di un altro, spinge il lettore in una storia che è anche
    sua»37.
    Ecco allora che quella biblica è essenzialmente una teologia narrativa.
    Valorizzare la dimensione estetica del racconto biblico significa
    svelare la teologia che lo sottende. Infatti, «il modello narrativo parte
    dall’idea che la teologia non è in primo luogo dell’ordine del cognitivo
    e del misurabile, ma dell’esperienza di un incontro tra gli umani e Dio.
    Questa esperienza ha certo bisogno, per essere interpretata con fedeltà,
    di venire formulata. Ma è la categoria della testimonianza che comanda
    l’adeguamento alla teologia a un linguaggio vicino alla vita, un linguaggio
    che sa narrare l’ineffabile dell’esperienza della grazia».

    3.3 Quale risposta per quel lettore
    Visto che l’analisi narrativa punta la sua attenzione sulla risposta
    del lettore (reader response) e visto che la Bibbia esibisce la sua pretesa
    di cambiare la vita, di chiamare alla conversione, al ricordo che si fa
    scelta esistenziale («Tutto ciò che il Signore ha detto, noi le faremo»:
    Es 24,3), ci si può chiedere se la risposta da parte del lettore richiesta
    dalla Bibbia possa essere equiparata a quella che viene richiesta da un
    romanzo. Ma anche un romanzo, come fa notare J.-L- Ska, «invita il
    lettore a scoprire una parte nuova della realtà umana. Il romanzo contiene
    una visione delle cose presentate in maniera tale che il lettore possa
    ricostruirla usando tutte le proprie facoltà intellettuali e spirituali.
    Ogni racconto del genere fiction è come una carta che permette al lettore
    di avventurarsi in territori sempre nuovi dell’esperienza umana».
    Del resto,
    anche la narrativa biblica invita il proprio lettore a percorrere un campo di
    esperienza. Che il tipo di esperienza sia prima religioso ha certo la sua
    importanza, ma non tocca l’essenziale, poiché esistono anche romanzi religiosi
    (…) Più che il contenuto dell’esperienza, ciò che importa nella narrazione
    biblica è il tipo di risposta che include, a nostro parere, un elemento
    che mette in gioco la libertà di scelta del lettore. La verità che la
    Bibbia presenta non è solo una parte della verità sulla vita o sul destino
    umano, ma una scelta che impegna l’esistenza del suo lettore virtuale.
    Certo, il lettore non è costretto a scegliere, e tutti i lettori della Bibbia non
    si convertono all’ebraismo o al cristianesimo. Anche questo aspetto fa
    parte delle caratteristiche più importanti della Bibbia. Infatti, essa rispetta
    al massimo la libertà del suo lettore, diversamente da molte letterature ideologiche.
    Ma la Bibbia fa capire quale sia la posta della lettura. Vi sono
    problemi essenziali dell’esistenza, del destino di un popolo e di tutti i suoi
    membri nell’Antico Testamento (con la sua dimensione universale), e
    dell’intera umanità del Nuovo Testamento. [...] Tuttavia (…) la Bibbia
    procede con molta discrezione. La scelta della forma narrativa, invece
    delle forme letterarie più ideologiche come i discorsi di propaganda o le
    arringhe politiche, procede da una pedagogia che merita tutta la nostra attenzione40.

    D’altra parte, «l’arte non è la vita, è sempre artificio, è sempre mimesi;
    ma l’arte è la cosa più vicina alla vita». La Bibbia è l’incontro di due
    libertà, quella divina e quella umana, da una parte, e quella del narrato
    re (narratore) e quella del lettore (implicito), dall’altra.

    Edited by Maurizio 1 - 3/9/2018, 19:05
     
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3 replies since 2/9/2018, 22:56   118 views
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